BUREAU OF PUBLIC SECRETS


 

 

Corrispondenza sulla
questione della religione


(Jean-Pierre Baudet e Ken Knabb)

 

Ti ringrazio molto per avermi inviato il tuo libro Public Secrets [Segreti pubblici]. Ciò mi ha permesso di leggere integralmente quanto hai scritto sulla religione (e talvolta di rileggere, giacché tempo fa ne avevo già letto alcune parti). Certamente la religione è una questione che deve essere affrontata oggi per la semplice (sebbene deplorevole) ragione che a differenti livelli ed in vari modi, la religione non è scomparsa, come si poteva immaginare (e sperare) alcuni decenni fa. Al contrario, in tutti i paesi moderni una moderna sorta di religione (l’economia) domina ancora il popolo, con la sua etica, la sua teologia ed i suoi sacerdoti, e nondimeno le religioni tradizionali sopravvivono altrettanto bene; e nei paesi con strutture più antiquate, le forme tradizionali della religione non soltanto sopravvivono, ma crescono e si rafforzano molto, in particolare nelle regioni islamiche del mondo. Sembra dunque evidente che è impossibile trascurare la questione della religione.

The Realization and Suppression of Religion [La realizzazione e la soppressione della religione] fu scritta nel 1977 da un punto di vista americano, voglio dire da un paese in cui la società dello spettacolo era già interamente sviluppata, e dove era già ovvio che alcuni nuovi tipi di religione (le sette) non erano (come si poteva credere, a torto, da una prospettiva europea) una semplice compensazione dovuta a un grado incompiuto dello spettacolo, e così destinati a scomparire, ma che al contrario, tutti e due, lo spettacolo completamente sviluppato e la religione, sono risultati fenomeni congiunti che possono coesistere. In una parola, lo spettacolo (benché sia una sorta di religione più appropriata ai “tempi moderni”) non ha rimpiazzato la religione, non ha realizzato ciò che si attendeva da un punto visto strettamente radicale. Ma ciò, non deve aver condotto ad un’analisi più profonda della questione: quale tipo di religione è scomparsa, e quale tipo è rimasto?

In passato, la “religione” comprendeva molti elementi diversi, o contraddittori. Tra di essi, alcuni sono stati ovviamente recuperati dallo spettacolo, altri sono stati lasciati indietro e dovettero essere risolti con mezzi (religiosi) tradizionali. Ma quali sono gli elementi che sono rimasti? Apparentemente, gli elementi che presenti sono più o meno legati con quella che potrei chiamare la dimensione “medica” (o “igienica” o “terapeutica” o “californiana”) della religione; nella società moderna, la gente ha ovviamente dei bisogni che riguardano un “equilibrio personale” che si possono alleviare soltanto attraverso tecniche essenzialmente terapeutiche, diciamo, semi-religiose.

Ma sappiamo tutti che questo era un solo aspetto delle religioni del passato. La religione cercava di essere allo stesso tempo questo tipo di “medicina” ma anche un sistema di conoscenza (mitologia, storie della genesi, pratica magica, comprensione della natura); una direzione per l’arte e l’estetica; un modo di strutturare lo scambio sociale ispirato dalle cosiddette relazioni dell’uomo con gli dei ed il mondo in generale; ed infine ma non per ordine d’importanza, un tentativo dell’uomo di valutare sé stesso, la sua vita e la sua morte, il contrasto tra il suo corpo finito e la sua anima “infinita” — tutto questo mescolato insieme in un contesto completamente alienato e che cerca di condurlo ad una totalità coerente, posta quasi senza eccezione sotto il controllo di un potere già dominante o in formazione. Naturalmente noi sappiamo che non si può trovare nessuna attività o aspetto contemporaneo dell’umanità che non abbia origine nella religione, perché la religione fu per molti millenni l’elemento unitario dell’umanità. Così la storia delle epoche successive, cominciando dagli antichi imperi in Mesopotamia, Egitto e India, iniziò lentamente il lungo e irreversibile movimento di scomposizione centrifuga che ha condotto alla odierna estrema divisione di conoscenza e pratica. Ma ricordando tutto questo siamo autorizzati a parlare di “religione” per dare rilievo alla gran quantità di sette odierne e ai bisogni “religiosi”? Questi bisogni sono troppo terapeutici per essere considerati come una religione da un punto religioso, e troppo religiosi per essere accettati come puramente terapeutici da un punto di vista anti-religioso. Tutto ciò spiega, dal mio punto di vista, come dal tuo tentativo di fare una sintesi non può arrivare nulla di buono: ciò che rimaneva della religione era soprattutto la dimensione “terapeutica”, cioè più prosaica, quella che le religioni dominanti (almeno quelle occidentali) hanno sempre respinto come una prospettiva inferiore, come una parte essenzialmente non religiosa della religione: un ritrovare l’equilibrio che non doveva essere ricercato per sé stesso, ma doveva arrivare in aggiunta alla coscienza (vedere Freud). La religione, quando era forte, non pensò mai di essere adottato soltanto dal gente debole e malata. Non pensi che tutte le religioni del passato sarebbero state piuttosto sconvolte da una simile giustificazione medica? Bene, naturalmente non mi preoccupo assolutamente di ciò che le antiche religioni avrebbero pensato di questo: ma il loro punto di vista non era estremamente più ricco di quello terapeutico, e pertanto il loro disprezzo non sarebbe “giusto”.

Per queste ragioni, credo che la teoria dello spettacolo avesse perfettamente ragione a mostrare la religione sostituitta in gran parte dall’economia e dallo spettacolo. Ciò che ne era rimasto erano soltanto parti, frammenti di religione. La necessità di sentirsi parte di un’unità, o di essere sé stessi, che turba la gente di tanto in tanto, può ad esempio essere soddisfatta da una società libera dove l’uomo sarebbe praticamente una parte, una parte personale, originale ed insostituibile dell’intero (ecco perché l’Atene classica non aveva alcun bisogno di una vera religione: le domande che la religione può soltanto porre stavano già per essere risolte dalla democrazia attiva), ma nell’attesa (molto lunga) la gente ha continuato a cercare di risolvere i problemi con le credenze, con la fede, e naturalmente i rivoluzionari possono soltanto essere contro questi metodi, queste ninnenanne, questi anestetici. La mancanza di una soluzione appropriata deve essere sperimentata e sentita da tutti: questa è davvero la soluzione sana, nella misura in cui la salute ha qualcosa a che vedere con l’intelligenza! Il fatto di praticare lo yoga, per esempio, o altre tecniche di rilassamento per la propria salute personale, sono per me una questione strettamente personale, come quelle di bere vino o fare l’amore; non si deve diffondere o denunciare tali cose pubblicamente, e non le si dovrebbe mescolare alle idee sociali, alla teoria radicale, ecc. (d’altra parte, credo che il vino o l’erotismo siano alla fine più compatibili con una vita sociale emancipata che il sedersi tutto il giorno su un tappeto di preghiera). Credo dunque che la tua argomentazione abbia una base doppia e contradittoria: quando vieni attaccato sulla questione dello Zen, ti difendi dicendo che si trattava soltanto di una questione personale, ma poi cerchi di fare propaganda al tutto. Così, hai provato a conciliare il popolo con attività (buddhismo ed attivismo critico) che non hanno nulla in comune, e che non possono avere nulla in comune. [...]

La tua analisi e la tua critica si occupa solo della religione Cristiana, mentre il Buddhismo è trattato come “un’esperienza personale” positiva (“lo Zen in particolare è più una pratica che un sistema di credenze”, pag. 145). Perché non ti piace la prima e ti piace il secondo? Un trattamento davvero ingiusto. E tu realmente pensi che la descrizione del tuo soggiorno a Tassajara può essere presa come “una traccia di come potrebbe essere la vita”? Naturalmente la vita potrebbe essere così, ma sarebbe il caso? E tu presumi che il popolo combatta e lotti per una simile “vita”? [...]

Io penso che nessuno dei tuoi lettori europei potrebbe approvare pubblicamente questa parte del tuo libro, ed io altrettanto, io sicuramente la ripudierei alla prima occasione. Suppongo che tu sia cosciente di tali conseguenze, e vorrei sapere cosa ne pensi.

—JEAN-PIERRE BAUDET
Parigi, marzo 1997

 

* * *


Se gli anarchici e gli ultragauchistes mi considerano troppo situazionista (ma per ragioni ben diverse), i situazionisti stessi mi hanno spesso visto come uno abbastanza eretico. Per citare soltanto l’esempio più evidente, il mio opuscolo La realizzazione e la soppressione della religione (1977) era una sfida quasi inaudita indirizzata all’interno di tutto il milieu. Le diatribe di Michel Prigent riprodotte alla fine di Public Secrets danno un’idea delle reazioni più deliranti che ha causato. Una risposta più seria si può leggere in una lettera di Jean-Pierre Baudet, un situazionista parigino con referenze abbastanza ortodosse (autore o traduttore di alcuni libri di Champ Libre che ha frequentato Debord per un certo tempo). Come la maggior parte dei situs francesi, Baudet era sconcertato dalla mia violazione del tabù situazionista contro la religione, ma si è reso conto che nell’opuscolo vi era troppa sostanza per essere semplicemente respinto. Vent’anni dopo, la questione non è scomparsa.

Baudet comincia riconoscendo che avevo ragione a segnalare la vitalità persistente della religione quando i radicali “materialisti” tradizionali (compresi i situazionisti) avevano dichiarato con sufficienza che era sul punto di scomparire:

Certamente la religione è una questione che deve essere affrontata oggi per la semplice (sebbene deplorevole) ragione che a differenti livelli ed in vari modi, la religione non è scomparsa, come si poteva immaginare (e sperare) alcuni decenni fa. (...) The Realization and Suppression of Religion [La realizzazione e la soppressione della religione] fu scritta nel 1977 da un punto di vista americano, voglio dire da un paese in cui la società dello spettacolo era già interamente sviluppata, e dove era già ovvio che alcuni nuovi tipi di religione (le sette) non erano (come si poteva credere, a torto, da una prospettiva europea) una semplice compensazione dovuta a un grado incompiuto dello spettacolo, e così destinati a scomparire, ma che al contrario, tutti e due, lo spettacolo completamente sviluppato e la religione, sono risultati fenomeni congiunti che possono coesistere. (...) Ma ciò, non deve aver condotto ad un’analisi più profonda della questione: quale tipo di religione è scomparsa, e quale tipo è rimasto?

Baudet continua discutendo su vari aspetti della religione, e concludendone che presto troppa attenzione ai suoi aspetti “terapeutici”, che trova validi ma limitati. Ma il mio opuscolo non era un tentativo di trattare le grandi questioni storiche che evoca, per quanto interessanti possano essere. Lo scopo principale dell’opuscolo era di confrontare il movimento situazionista con alcuni flagranti problemi nella sua teoria e nella sua pratica. Ho sollevato “la questione della religione” perché credevo che il punto debole dei situazionisti a proposito della religione avesse una relazione molto stretta con questi problemi. Il contrasto tra l’atteggiamento dialettico dei situazionisti verso l’arte ed il loro atteggiamento non dialettico verso la religione saltava agli occhi. L’originalità sovversiva dei situazionisti veniva in grande misura dal fatto che riconoscevano al tempo stesso gli aspetti positivi dell’arte (arte come terreno della creatività) ed i suoi limiti (la sua tendenza ad incanalare la creatività in un quadro limitato); di modo che il progetto rivoluzionario poteva essere visto come ciò che implica in una volta “la realizzazione e la soppressione dell’arte” mediante l’estensione della creatività a tutti gli aspetti della vita. In un modo simile, credevo che si potesse considerare la religione, nonostante tutti i suoi ovvi elementi di merda, come un terreno dove alcune questioni fondamentali (etica, integrazione personale, comunione sociale, senso della vita) sono state poste più profondamente, benché entro dei quadri limitati (e generalmente perniciosi). Rifiutando completamente la religione, i situazionisti sono rimasti all’oscuro delle esperienze e delle prospettive che avrebbero potuto essere loro utili, e sono caduti nell’errore di un atteggiamento volgarmente “egoista” che ha incoraggiato l’adozione di ridicoli ruoli neo-aristocratici e li ha lasciati in imbarazzo quando le cose non hanno preso la piega che si aspettavano.

Baudet non discute nessuno di questi argomenti, benché si trovasse in una buona posizione avendo esperienza dei problemi che ho segnalato. Invece di chiedersi se le soluzioni che ho cercato possano avere qualcosa a che fare con questi problemi, dichiara categoricamente che non c’è nessun collegamento possibile:

Hai provato a conciliare il popolo con attività (buddhismo ed attivismo critico) che non hanno nulla in comune, e che non possono avere nulla in comune.

Ho ricevuto esattamente la stessa protesta dai buddhisti radicali che ho criticato, che non possono immaginare come le mie tattiche “conflittuali” e che “seminano la discordia” potrebbero conciliarsi con i valori buddhisti ai quali si aggrappano.

Io penso che nessuno dei tuoi lettori europei potrebbe approvare pubblicamente questa parte del tuo libro, ed io altrettanto, io sicuramente la ripudierei alla prima occasione. Suppongo che tu sia cosciente di tali conseguenze, e vorrei sapere cosa ne pensi.

Un po’ più tardi Baudet ha cessato ogni contatto con me, verosimilmente a causa di questi aspetti religiosi, dato che non ha mai espresso nessun’altra obiezione al libro. Fino ad ora, tuttavia, né lui né nessun altro dei lettori europei che dovrebbero disapprovarmi ha mai criticato pubblicamente il libro. Li invito a farlo.

—KEN KNABB
Estratto di un opuscolo pubblicato nell’aprile 2000

 


Versione italiana di estratti di una lettera di Jean-Pierre Baudet e di A Look at Some of the Reactions to Public Secrets, traduzione dall’inglese di Omar Wisyam.

Testi e corrispondenze di Jean-Pierre Baudet e dei suoi amici si trovano nel sito: Les Amis de Némésis.

No copyright.


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